venerdì 4 febbraio 2011

All’impresa familiare sono posti requisiti meno stringenti sul Sistema di gestione per la sicurezza

Sicurezza soft per le imprese familiari.
Non devono adottare le ordinarie misure di prevenzione (tra cui, in primo luogo, il documento di valutazione rischi) se nessuno dei componenti assume veste di «lavoratore» come definito dal Tu sicurezza (il dlgs n. 81/2008), cioè con un vero e proprio rapporto di lavoro di tipo subordinato. Ma devono usare le attrezzature e munirsi dei dispositivi individuali di sicurezza conformemente alle disposizioni del Tu, per evitare l’applicazione di sanzioni penali.
A precisarlo è il ministero del lavoro in risposta a un apposito quesito (Faq) che ha chiesto di sapere quali sono gli obblighi di sicurezza che gravano sull’impresa familiare.

L’impresa familiare
In primo luogo, il ministero del lavoro osserva che, l’articolo 230-bis del codice civile, che è stato introdotto dalla riforma del diritto di famiglia (legge n. 151/1975), configura l’«impresa familiare» come l’attività economica alla quale collaborano, in modo continuativo, il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo qualora non sia configurabile un diverso rapporto.
In particolare, il predetto articolo (a titolo proprio «impresa familiare») stabilisce che, salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato.
Ancora, il codice civile stabilisce che le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa.
I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi; che il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo; che ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo e che, per impresa familiare, quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; che il predetto diritto di partecipazione è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore dei medesimi familiari previsti e con il consenso di tutti i partecipi e che tale diritto può anche essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, e altresì in caso di alienazione dell’azienda; che in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda i partecipanti all’impresa familiare hanno diritto di prelazione sull’azienda; infine, che le comunioni tacite familiari nell’esercizio dell’agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con tali principi.
La configurazione dell’impresa familiare, dunque, secondo il ministero, ha carattere residuale atteso che sussiste soltanto quando le parti (i familiari) non abbiano inteso dar vita a un diverso qualificato rapporto (per esempio società di fatto, rapporto di lavoro subordinato, e via dicendo).


Gli obblighi di sicurezza
All’impresa familiare, spiega il ministero, si applica quanto previsto dall’articolo 21 del Tu, mentre laddove i componenti dell’impresa assumano la veste di lavoratori, così come definiti dall’articolo 2, comma 1, lettera a) dello stesso Tu, con un vero e proprio rapporto di subordinazione, al titolare dell’impresa familiare, nella sua qualità di datore di lavoro e garante rispetto agli altri componenti, faranno capo gli obblighi di adottare tutte le misure di tutela della salute e sicurezza sul lavoro di cui sempre al Tu.
Fra questi, l’obbligo della valutazione dei rischi, della redazione del documento di valutazione dei rischi oppure dell’autocertificazione, della nomina del medico competente, della formazione e informazione dei componenti, della sorveglianza sanitaria ecc.
In tali ipotesi, precisa infine il ministero, non viene a configurarsi alcuna disparità di trattamento atteso che, nel caso di impresa familiare, il titolare della stessa non verrà ad assumere la veste di datore di lavoro e, pertanto, non soggiacerà a tutti gli obblighi previsti dal Tu in materia.
E infatti, stando al Tu, il datore di lavoro è il «soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa».
Seguendo, dunque, le indicazioni del ministero e, quindi, applicando all’impresa familiare le norma dell’articolo 21 del Tu, ne deriva che «i componenti» dell’impresa familiare sono tenuti a osservare i seguenti adempimenti:

  • utilizzare le attrezzature di lavoro in conformità alle disposizioni di cui al Titolo III del Tu;
  • munirsi di dispositivi di protezione individuale e utilizzarli conformemente alle disposizioni di cui al Titolo III del Tu;
  • munirsi di apposita tessera di riconoscimento corredata di fotografia, contenente le proprie generalità, qualora effettuino la loro prestazione in un luogo di lavoro nel quale si svolgano attività in regime di appalto o subappalto.


Ciò che va sottolineato, dunque, è il fatto che le prescrizioni di sicurezza ricadono su tutti i «componenti» dell’impresa familiare, senza che alcuno di loro venga individuato quale «responsabile» diretto dell’osservanza delle prescrizioni di sicurezza, alla stregua del datore di lavoro.
Conseguenza principale di tale particolarità è il fatto che le sanzioni previste dal Tu, anche di tipo penale, in caso di inosservanza di tali prescrizioni vanno a colpire indistintamente tutti i componenti l’impresa familiare e, nello specifico, coloro che non abbiano correttamente osservato tali prescrizioni.
Accanto alle predette misure, di tipo prescrittivo (cioè obbligatorie), l’articolo 21 del Tu prevede delle ulteriori misure di tipo, però, facoltativo.
In particolare, relativamente ai rischi propri delle attività svolte e con oneri a proprio carico, i componenti l’impresa familiare hanno facoltà di:

  • beneficiare della sorveglianza sanitaria secondo le previsioni di cui all’articolo 41 del Tu, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali;
  • partecipare a corsi di formazione specifici in materia di salute e sicurezza sul lavoro, incentrati sui rischi propri delle attività svolte, secondo le previsioni di cui all’articolo 37, fermi restando gli obblighi previsti da norme speciali.


Nessun obbligo se mancano i “lavoratori”
È l’articolo 3, comma 12, del Testo unico a stabilire che nei confronti dei componenti dell’impresa familiare, dei coltivatori diretti del fondo, degli artigiani e dei piccoli commercianti e dei soci delle società semplici operanti nel settore agricolo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 21 del medesimo Tu.
Quest’ultimo articolo, dunque, prevede delle prescrizioni «in deroga», speciali, rispetto a quelle ordinariamente previste per le imprese e la p.a.
Secondo le indicazioni del ministero del lavoro, tuttavia, affinché una «impresa familiare» possa essere destinataria delle predette prescrizioni in deroga (articolo 21 del Tu sicurezza) è necessario che tra i componenti «non sia configurabile un diverso rapporto», con specifico riferimento all’articolo 2 del Tu, nella parte in cui definisce la figura del «lavoratore».
Tale articolo, al comma 1, lettera a) stabilisce che ai fini e agli effetti delle disposizioni di cui al Tu s’intende per lavoratore, la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari.
Al lavoratore così definito è equiparato: il socio lavoratore di cooperativa o di società, anche di fatto, che presta la sua attività per conto delle società e dell’ente stesso; l’associato in partecipazione (di cui all’articolo 2549, e seguenti del codice civile); il soggetto beneficiario delle iniziative di tirocini formativi e di orientamento (di cui all’articolo 18 della legge, n. 196/1997 e alle specifiche disposizioni delle leggi regionali) promosse al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro o di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro; l’allievo degli istituti di istruzione e universitari e il partecipante ai corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici, ivi comprese le apparecchiature fornite di videoterminali limitatamente ai periodi in cui l’allievo sia effettivamente applicato alla strumentazioni o ai laboratori in questione; i volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e della protezione civile; il lavoratore socialmente utile (dlgs n. 468/1997).

Fonte: rassegna stampa "ARIFL" - Daniele Cirioli - ItaliaOggi Sette
Queste informazioni sono state tratte da:http://www.arifl.it/rassegnastampa/20101220.pdf